Viewing Room | ANTONIO BARRERA (1889 (2024)

Antonio Barrera, pittore romano nato nel 1889, sensibile interprete di un’epoca complessa, quella tra le due guerre, attraverso immagini dal realismo misurato e dallo spazio ponderato, evocativo di silenzi quasi magici e sospesi, è stato tra i protagonisti del panorama pittorico romano e dei suoi profondi mutamenti, tra gli anni Venti e gli anni Cinquanta. Nato da una famiglia spagnola attiva nel commercio di legname, cresce in un ambiente culturale molto fertile: il salotto dell’appartamento dei suoi genitori, sul finire dell’Ottocento, è frequentato da letterati, artisti, musicisti. Nonostante fosse stato spinto a studiare ragioneria e a gestire l’azienda di famiglia, Barrera segue la sua inclinazione naturale verso il disegno e la pittura e, incoraggiato da Enrique Serra Auqué, pittore spagnolo amico di famiglia, all’inizio degli anni Dieci, frequenta lo studio di Pietro Gaudenzi per circa due anni, prima dello scoppio della guerra.

Nel 1915 ha già un avviato atelier in via Margutta 2A, ma arruolatosi come ufficiale di artiglieria, interrompe la sua produzione negli anni del conflitto per poi riprenderla nel 1918-19. Un realismo sincero e concreto si unisce sin da subito ad un sereno equilibrio formale che si riassume in un «particolare senso architettonico e disegnativo, in cui si adatta e si controlla la sua acuta sensibilità pittorica»[1].

Il suo esordio avviene alla Mostra degli Amatori e Cultori di Belle Arti di Roma del 1920 con cinque opere, tra cui il Porto di Civitavecchia, brano misurato e solenne dalla luce chiara e diffusa e dall’atmosfera di calda immobilità, acquisito poi nel 1926 dal Governatorato di Roma e che dà avvio alla sua produzione di marine, portata avanti per tutto l’arco della vita. Invitato di nuovo alla rassegna nel 1922, espone Vecchia darsena e Piccola borghesia, di cui Augusto Carelli loda la «natura pittorica autentica […], un’innata piacevolezza di colorazione e una semplicità sintetica di tecnica, un’osservazione onesta e franca»[2], caratteristiche che emergono anche dalle opere presentate alla Biennale di Venezia dello stesso anno, che inaugurano una stagione ventennale di presenze presso la rassegna lagunare, fino all’edizione del 1942. Invitato anche alla Biennale romana del 1923, vi espone le Arcate dell’arsenale, Sottopassaggio e La bettola, opera illustrata in catalogo che offre uno sguardo sull’approccio candidamente incontaminato della pittura di Barrera, che, in questo interno popolare, risente chiaramente del clima vernacolare delle bambocciate seicentesche.

In un serrato dialogo con le coeve istanze del ritorno all’ordine, che Barrera vive nel clima culturale del Caffè Aragno, dove conosce Amerigo Bartoli, Carlo Socrate, Francesco Trombadori e tutta la compagine romana di Novecento, affronta gli anni Venti spaziando dal paesaggio alle marine ai ritratti e alle ricche composizioni di figure, sperimentando una mediazione tra il colorismo impressionista e un formalismo che deriva dello studio dei maestri antichi. Interprete di un personale e morbido classicismo, è tra i principali punti di riferimento del dibattito novecentista romano, aperto a suggestioni contemporanee influenzate dalle sintetiche volumetrie post-impressioniste sulla scorta di Spadini e Carena, in cui gli impasti di colore si uniscono al luminismo di matrice seicentesca. Nel 1926, anno in cui inizia a insegnare decorazione plastica al Museo Artistico Industriale di Roma, prende parte alla I mostra di Novecento alla Permanente di Milano, dove espone il Ritratto della moglie, opera stilisticamente e tematicamente affine a quella presentata da Cipriano Efisio Oppo, Mia moglie incinta. Ma sarà proprio Oppo a offrire inizialmente un parere scarsamente entusiastico su Barrera, non mancando comunque di sottolineare «la grande onestà»[3] della sua pittura, per poi tramutare il suo giudizio in una accoglienza più calda qualche tempo dopo, in occasione della I Mostra Nazionale d’arte marinara, sempre del 1926. Autore del testo in catalogo dedicato al pittore, in mostra con ben quattordici opere a tema marinaro, Oppo loderà la sua «armonia di ispirazione […], un disegno controllato e amoroso, il vero non preso a prestito ma conquistato assai pulitamente»[4].

Chiaroscuri perfettamente bilanciati e una modulazione elegante e vellutata dei toni caratterizzano alcuni ritratti muliebri e scene della fine degli anni Venti, quando ottiene i primi riconoscimenti, tra cui il diploma d’onore all’Esposizione Internazionale di Barcellona del 1929, momento in cui inizia a dare slancio a quelle atmosfere sospese e incantate che ritornano negli essenziali e poetici paesaggi urbani romani, tra cui La torre di Ponte Milvio e La via di Roma comparsi alla Biennale di Venezia del 1930. In questo frangente, lo “spirito romano” di Barrera si sublima nella creazione delle cosiddette Scene romane: il pittore, sotto la direzione dell’ingegner Reanda e la consulenza artistica di Umberto Bottazzi, ricrea a grandezza naturale tre scenografie popolari in gesso e cartapesta della Roma del 1820 circa, L’osteria, Il Saltarello e Lo scrivano pubblico, prendendo ispirazione dalle litografie ottocentesche di Antoine Jean-Baptiste Thomase dai rami di Bartolomeo Pinelli. Le scene, utilizzate per la Mostra del costume romano del 1927 a Palazzo Valentini sono state poi trasferite nella prima sede del Museo di Roma all’ex Pastificio Pantanella a via dei Cerchi e poi, nel 1952, sotto la direzione dell’artista Orazio Amato, nell’attuale sede di Palazzo Braschi, per essere collocate definitivamente negli anni Settanta nel convento carmelitano in piazza sant’Egidio a Trastevere. Queste scene segnano, nella vicenda artistica e biografica di Antonio Barrera, un legame profondo con la tradizione romana e laziale, con un certo regionalismo folklorico in voga negli anni Venti e Trenta e in perfetto accordo non solo con la sua abituale frequentazione di Anticoli Corrado, con la nomina a direttore dei documentari sul folklore laziale dell’Istituto LUCE, ma anche con la vicinanza al gruppo dei Romanisti, attivo tra il 1929 e gli anni Quaranta. Insieme ad artisti come Orazio Amato, Orfeo Tamburi, Duilio Cambellotti, Barrera gravita nell’ambiente delle serate all’Osteria della Cisterna a Trastevere, insieme a poeti, artisti e intellettuali tra cui Trilussa, Ettore Petrolini, Diego Angeli, Richard Krautheimer, Giuseppe Ceccarelli, Antonio Muñoz, in un fecondo clima culturale che univa letteratura ad archeologia, musica a pittura, cibo a teatro.

L’inizio degli anni Trenta segna dunque per il pittore un momento cruciale in cui il suo ductus pittorico, soprattutto nelle vedute cittadine e nei paesaggi, perde quella sua corposità di matrice impressionista per abbandonarsi gradualmente all’intersezione di compatte e plastiche porzioni di colore, che danno vita a liriche e silenziose composizioni dall’atmosfera tersa e rarefatta, in una astrazione soffusa che ricorda i paesaggi romani di Antonio Donghi. Ben visibile questa svolta nelle opere di estrazione orientalista eseguite in Libia, tra cui La via di Dahara e Il forno di Suk el Ginna presentati all’Esposizione Coloniale di Roma del 1931, ma anche e soprattutto nelle personalissime scene di vita romana, tra cui il Motivo romano esposto alla Sindacale Fascista del Lazio del 1932 e soprattutto Il cortile, esposto alla Biennale di Venezia dello stesso anno, insieme a Bimbi al balcone e alcuni paesaggi parigini.

Lasciandosi ispirare dalla ferma tranquillità quasi solenne di una Roma silenziosa e solida, in una strana quiete luminosa prima della tempesta della guerra, Barrera compone paesaggi elegiaci e intessuti di un purismo verista e allo stesso tempo incantato, in una pacata semplificazione delle forme e dei piani. Ponte Milvio, Il Tevere in piena, Draghe sul Tevere riflettono i cambiamenti della Roma del Ventennio, in una lettura quasi astratta e visionaria, fatta di tonalità dilatate, di contorni indefiniti e sintetismi cromatici, forieri di una dimensione sospesa e magica, che l’artista doveva conoscere alla perfezione, anche in qualità di membro della Commissione urbanistica di Roma tra il 1935 e il 1936.

Le figure, nel frattempo, mantengono la loro poetica solidità, come si nota dai Ritratti dei sovrani eseguiti per la Sala del Consiglio di Presidenza del Senato (andati perduti), dal Ritratto femminile esposto alla Sindacale Fascista del Lazio del 1930 e dall’iconico Via di Roma della Biennale del 1930, fino a giungere a La ronda dei lupi di mare, presentata alla I Quadriennale di Roma del 1931 – di cui è anche membro del comitato organizzatore – acquistata dalla Galleria Civica di Torino nello stesso anno. Comparso tra le pagine delle riviste e dei quotidiani, tra cui «L’ambrosiano», «Enotria» e «L’Italia coloniale», viene definito «quadro di schietto di sapore esotico egregiamente impostato e di vivace effetto»[5], così come La scarrozzata e Serenità, considerate «notevoli gruppi di pitture»[6] da Margherita Sarfatti. Invitato all’Exhibition of contemporary italian paintings di Baltimora nel 1931, invia Donna della campagna romana, di fatto comparendo tra i sessantadue artisti italiani scelti da Oppo e Roland Joseph McKinney, direttore del Baltimore Museum of Art, per una serie di tre prestigiose mostre itineranti negli Stati Uniti.

Raggiunge il culmine del successo alla Biennale di Venezia del 1934 con Passa il Duce (acquistato dal Partito Nazionale Fascista) e poi alla Quadriennale romana del 1939, con una delle sue opere più iconiche, Il navigante e la Circeide, conservata oggi alla Galleria d’Arte Moderna di Roma. Verso la fine degli anni Trenta, si occupa di diverse decorazioni pubbliche: lavora prima nel palazzo dell’Istituto Nazionale Fascista per la Previdenza Sociale, progettato dall’architetto Vittorio Ballio Morpurgo. Mentre Ferruccio Ferrazzi si occupa del mosaico della facciata prospiciente il Mausoleo di Augusto, con scene tratte dalla leggenda della fondazione di Roma, Barrera decora l’atrio di via della Frezza con diverse vedute del Mausoleo, ambientate in un immaginario e idilliaco Rinascimento. Figure in costume popolano la piazza e i monumenti, in scene di vita quotidiana ambientate in spazi, puri e puliti, memori dello studio prospettico quattrocentesco, di Leon Battista Alberti e Piero della Francesca: composizioni a metà tra l’erudizione antiquaria e il Realismo magico. All’inizio degli anni Quaranta, chiamato come pittore ufficiale della Marina militare con l’incarico di rappresentare soggetti bellici e marinari, partecipa alla I Mostra delle Terre italiane d’Oltremare di Napoli del 1940 con un grande pannello murale nel padiglione della Libia che sintetizza esotismo e colonialismo in un connubio di brillante solidità formale, presente anche nella Benedizione della barca, affresco eseguito per il Salone d’onore dell’E42 sulla vita tradizionale italiana, e oggi ancora in situ insieme agli altri affreschi, nell’attuale Museo delle Civiltà di Roma.

Tra gli anni Quaranta e Cinquanta, durante e poco dopo il conflitto, Barrera si impegna con tenace dedizione a un cospicuo e lirico repertorio di paesaggi romani: narrazioni poetiche delle piccole contingenze quotidiane che si svolgono sullo sfondo di una città dalla storia e dall’aspetto monumentali. Alcune di queste opere compaiono nelle mostre degli anni Quaranta, tra cui la sua penultima Quadriennale del 1943 in cui espone Inverno romano, e la sua ultima del 1948, dove invece presenta il Foro di Traiano. Altre opere di questo caratteristico “ciclo romano”, interpretato con grazia e naturalezza, vengono esposte nella personale del pittore alla Galleria San Marco di Roma nel maggio del 1944, presentate da un testo di Michele Biancale, che decanta «la rapida impaginazione delle sue visioni, la bellezza di certi suoi toni che sono ormai diventati suoi peculiari, quali i blu, i marroni fulvi e caldi, i rossigni esperimentati nella resa del colore di Roma, nelle sue piazze di Spagna, i suoi bianchi e verdi freschissimi in evocazioni ai giardini assolati sono ormai acquisite in lui come sue proprie particolari»[7]. Biancale non manca di notare che, rispetto alle composizioni sospese, pulite e rarefatte degli anni Trenta, nelle vedute urbane del decennio successivo, il pittore è maggiormente intenzionato a indagare lo «spessore della materia»[8], attraverso rapporti cromatici più intensi e una pennellata corposa, piena, nuovamente impressionista. Questa tangibile evoluzione dalla fresca e metodica trasparenza delle luci e dei colori a una resa più spontanea e tesa a fermare l’impressione della sua istantaneità quasi fotografica è perfettamente espressa dal nucleo di sei opere presentate in occasione di questa mostra. Il cortile della Biennale di Venezia del 1932, come accennato, appartiene a quel mondo quasi sognante e melancolico di una città che nel frattempo è al centro di ingenti trasformazioni e demolizioni. Ma Barrera coglie al contrario un intimo attimo di sospensione silenziosa di un cortile interno, interrotta solo dalla presenza del gattino nero in primo piano e di una donna in terrazza – quasi un manichino senza volto: una pittura impalpabile, dalla morfologia plastica e nitida, in cui una Roma rarefatta viene ritratta nella sua semplicità ordinaria e quotidiana, in uno torpore magico, che ricorda Il cortile (via del Lavatore) di Antonio Donghi. Ma procedendo in avanti, verso le vedute romane degli anni Quaranta Fiori a piazza di Spagna (1945), Vista di via delle Carrozze da Trinità dei Monti con la cupola di San Carlo al Corso sullo sfondo (1945), Santa Maria della Pace (1945), Veduta da Trinità dei Monti (1946) e Veduta di Piazza del Popolo (1946), Barrera adopera un tocco più sintetico e costruttivo, con flessioni impressioniste, in cui il verismo emerge con accentuata lucidità nella scelta delle paste pittoriche calde e nella spontaneità della luce che investe architetture e persone, unendo in un solo sguardo monumenti e aneddoti della vita. Aspetti che emergono dalle parole di Renzo Fanti in visita al suo studio negli anni Cinquanta, attratto da alcuni scorci romani come quello di Santa Maria del Popolo, «nei quali l’elemento architettonico e monumentale sfuma e si dilegua nel colore di Roma che domina, signore incontrastato, così nella concezione dell’artista come nell’emozione visiva dell’ammiratore»[9].

Espressioni liriche che ritornano nell’ultima fase produttiva di Barrera, quella svoltasi tra l’Argentina e Forlì. Giunto a Buenos Aires nel 1951, lavora come pittore, scenografo e commediografo e rimane in Argentina per sette anni, tra Montevideo, Palpalà, Vinchina, Buena Vista. Assorbe ogni dettaglio estetico e vitale dei luoghi che visita, annotando nei suoi diari momenti, colori, fantasie, temperature, tinte delle città e dei deserti in cui coglie, tra le altezze e i cactus, l’«astrattismo della realtà»[10]. Le opere e le impressioni dal segno veloce nate dagli stimoli visivi di questo lungo soggiorno sono state poi raccolte ed esposte nel 1959 in una mostra al Palazzo delle Esposizioni di Roma, dal titolo Motivi argentini del pittore Antonio Barrera. Retrospettiva a cura di Renato Mucci, che riassume questa produzione sudamericana nei termini di un «post-impressionismo nel quale le esigenze del moderno elemento cromatico si conciliano con i postulati della tradizione classica»[11].

Rientrato a in Italia, ormai lontano dalle esposizioni ufficiali e dalle urgenze del mercato, trascorre i suoi ultimi anni continuando a condurre la sua ricerca pittorica sulla veduta urbana tra Roma e Forlì, dove per un quinquennio, dal 1965 al 1970, anno della sua morte, è ospite della Fondazione Garzanti, in cui si dedica alle ultime, spontanee e sintetiche opere ad acquarello.

Elena Lago

[1] A. M. Comanducci, Dizionario illustrato pittori e incisori italiani moderni e contemporanei, Milano, 1962.

[2] A. Carelli, La 90° esposizione della Società Amatori e Cultori di Roma, «Emporium», LV, 329, 1922, p. 294.

[3] C. E. Oppo, La Mostra del ‘900 italiano, in «Il Secolo XX», 21, 1926, p. 228.

[4] C. E. Oppo, Antonio Barrera, catalogo della I Mostra d’arte marinara (Roma, Palazzo delle Esposizioni, 1926-1927), Roma, 1926, p. 102.

[5] Soggetti coloniali alla Quadriennale, «L’Italia coloniale», 3, 1931, p.n.n.

[6] M. Sarfatti, La pittura alla Quadriennale di Roma, in «Rivista illustrata del Popolo d’Italia», 1, 1931, p. 50.

[7] M. Biancale, Antonio Barrera, catalogo della mostra personale (Roma, Galleria San Marco, 10 – 19 maggio 1944), Roma, 1944, p.n.n.

[8] Ibidem.

[9] R. Fanti, Note critiche, in Antonio Barrera, catalogo della mostra a cura di G. Giorgetti (Forlì, Saletta XC PACIFICI del Municipio, 20 dicembre 1980 – 4 gennaio 1981), Forlì 1980, p.n.n.

[10] A. Barrera, trascrizioni del diario personale in Antonio Barrera, catalogo della mostra a cura di G. Giorgetti (Forlì, Saletta XC PACIFICI del Municipio, 20 dicembre 1980 – 4 gennaio 1981), Forlì 1980, p.n.n.

[11] R. Mucci, Motivi argentini del pittore Antonio Barrera, pieghevole della mostra (Roma, Palazzo delle Esposizioni, 16 – 25 novembre 1959), Roma, 1959, p.n.n.

Viewing Room | ANTONIO BARRERA (1889 (2024)

References

Top Articles
Latest Posts
Article information

Author: Lilliana Bartoletti

Last Updated:

Views: 6185

Rating: 4.2 / 5 (73 voted)

Reviews: 80% of readers found this page helpful

Author information

Name: Lilliana Bartoletti

Birthday: 1999-11-18

Address: 58866 Tricia Spurs, North Melvinberg, HI 91346-3774

Phone: +50616620367928

Job: Real-Estate Liaison

Hobby: Graffiti, Astronomy, Handball, Magic, Origami, Fashion, Foreign language learning

Introduction: My name is Lilliana Bartoletti, I am a adventurous, pleasant, shiny, beautiful, handsome, zealous, tasty person who loves writing and wants to share my knowledge and understanding with you.